Patologie di gomito, polso e mano

Frattura Radio Ulna, Frattura dello Scafoide, Lussazione del Gomito, Distorsione delle Dita, Frattura Distale dell'Omero, Distorsione del Polso, Frattura del Capitello Radiale, Sindrome del Tunnel Carpale, Epicondilite, Epitrocleite Gomito del Tennista / Padellista.

FRATTURA RADIO ULNA

Il 60–70% interessa le donne in menopausa ed è tipica dell’osso osteoporotico.

Lo stesso meccanismo di caduta nel giovane determinerà più frequentemente la frattura dello scafoide e nel bambino la frattura del radio a “legno verde”.
La frattura del radio è una frattura molto dolorosa con evidente deformità e, per alleviare il dolore, solitamente vengono prescritti dei farmaci (fans o anestetici locali).
La radiografia standard con eventuali proiezioni oblique risultano sufficienti per una diagnosi precisa. Talvolta è necessaria una elettromiografia per eventuali lesioni neurologiche associate.

Dopo un’opportuna terapia farmacologica per controllare il dolore, il trattamento consiste nel ridurre la frattura, con manipolazione o chirurgicamente, e stabilizzarla.

Nel caso della frattura del radio sono frequenti le deformità residue e durante l’immobilizzazione le sindromi compartimentali per gesso troppo stretto. Alla rimozione del gesso, pur tutelando ancora il polso, è possibile cominciare la rieducazione per una mobilizzazione di spalla, gomito e dita. Dopo qualche giorno si comincia a esercitare attivamente anche l’articolazione del polso e i muscoli dell’avambraccio.
Nonostante un corretto iter terapeutico, il 20-30% di queste fratture risulterà instabile.
A seconda della modalità di frattura, della localizzazione e della forma si identificano diverse tipologie di frattura di radio e ulna (Colles, smith, burton). I differenti tipi di fratture hanno diverse indicazioni chirurgiche o conservative ma il programma riabilitativo, a grandi linee, è lo stesso.

Il primo obiettivo del protocollo terapeutico è il recupero del ROM articolare fisiologico attraverso mobilizzazioni passive e attive di spalla, gomito e dita dapprima in flesso/estensione e progressivamente in prono-supinazione. In questa fase sono importanti la massoterapia drenante e decontratturante per braccio e avambraccio, lo stretching muscolare e l’utilizzo all’occorrenza di terapie antalgiche (Laserterapia Ad alta potenza,CrioUltrasuoni, SistemaSuperInduttivo).

Raggiunta l’articolarità completa, è possibile progredire alla fase successiva del programma riabilitativo caratterizzata dal rinforzo in contro-resistenza manuale e progressivamente con zavorre ed elastici dei muscoli flesso/estensori e prono/supinatori del polso, stabilizzatori della spalla e dal recupero del trofismo dell’eminenza tenar e ipotenar della mano.

Parallelamente verranno effettuate esercitazioni per recuperare il controllo della mano attraverso esercitazioni propriocettive e propedeutiche alla ripresa della manualità fine e grossolana e alla coordinazione della pinza prensile.

FRATTURA DELLO SCAFOIDE

Le fratture dello scafoide sono le più frequenti tra quelle delle ossa del carpo (quasi il 90% del totale).

Avvengono solitamente in seguito a una caduta con la mano atteggiata in iperestensione e possono associarsi a lesioni dei piccoli legamenti che circondano lo scafoide e lo stabilizzano con le altre ossa, in particolare con l’osso semilunare.

In genere, la frattura dello scafoide produce vivo dolore e una tumefazione spesso rilevante localizzata in prossimità della tabacchiera anatomica (quella piccola area triangolare alla base del pollice). Il dolore limita i movimenti su tutti i piani.
Per semplicità si considerano 3 tipi di fratture dello scafoide: prossimale, distale, istmica.
La localizzazione della frattura dello scafoide influisce significativamente sulla scelta terapeutica e sulla prognosi a lungo termine. In sintesi, le fratture con tempi di guarigione più lunghi e più a rischio di complicanze sono quelle prossimali perché l’apporto sanguigno avviene in senso disto-prossimale; è infatti dimostrata una netta superiorità di vascolarizzazione a carico dei 2/3 distali rispetto al terzo prossimale.

Per fare la diagnosi il medico si basa sull’anamnesi e sulla storia clinica. In genere, la diagnosi del medico viene confermata da una radiografia del polso in proiezioni particolari per lo scafoide. A volte una frattura può passare inosservata a un primo esame radiografico; se persiste il sospetto clinico, è opportuno ripetere l’esame radiografico dopo 15 giorni o effettuare subito una TAC per avere conferma della diagnosi.
Una diagnosi tardiva o un’immobilizzazione troppo breve sono le cause più frequenti di complicanze come osteonecrosi del polo prossimale e pseudoartrosi.

Il trattamento della frattura dello scafoide è in genere conservativo e consiste nelconfezionamento di un gesso con pollice incluso da tenere 6-10 settimane.
Le fratture prossimali invece si trattano chirurgicamente con osteosintesi attraverso una piccola vite cannulata (vite di Herbert) e immobilizzazione con tutore per circa due settimane.

Alla rimozione del gesso o del tutore (che avviene in seguito alla guarigione radiologica) è opportuno cominciare un ciclo di terapie riabilitative per il recupero dell’articolarità e della forza della muscolatura intrinseca ed estrinseca della mano. Il programma terapeutico si completa con esercizi specifici di terapia occupazionale e recupero di gesti tecnici sportivi.

Riabilitazione per frattura dello scafoide

Il meccanismo tipico di frattura dello scafoide è la caduta sulla mano atteggiata in iperestensione (sull’eminenza tenar) per incuneamento dello scafoide contro il bordo dorsale del radio. Ha sempre un’indicazione chirurgica con applicazione di apparecchio gessato per 6/10 settimane (non oltre i 3 mesi). La ripresa funzionale non può prescindere da un programma riabilitativo personalizzato.

Il primo obiettivo della riabilitazione è il recupero del ROM fisiologico (generalmente molto limitato) attraverso mobilizzazioni passive e attive in flessione, estensione,
prono-supinazione del polso, mobilizzazioni articolari interfalangee sia del pollice che delle dita attigue. In questa fase, per controllare il dolore sono utili terapie fisiche (ghiaccio, laser, ultrasuoni in immersione) e massoterapia drenante e decontratturante dell’arto superiore.

Raggiunta l’articolarità completa, è possibile progredire alla seconda fase della riabilitazione, incentrata sul recupero della forza dei muscoli epicondiloidei ed epitrocleari con esercizi contro resistenza manuale e con zavorre e sul recupero del trofismo dei muscoli intrinseci della mano con elastici, palline di diverse consistenze, pinze e retine.
Il programma riabilitativo termina con l’ultima fase sul campo sportivo con esercitazioni propriocettive per il recupero neuromotorio della funzionalità della mano e altre che portano il paziente a compiere gesti sport specifici con esercizi per lancio/presa di oggetti e piegamenti su superfici instabili per la prevenzione delle cadute.

LUSSAZIONE DEL GOMITO

Dopo la spalla il gomito è l’articolazione che si lussa più spesso, e nei bambini con meno di 10 anni è la più frequente in assoluto.

Nella grande maggioranza le lussazioni del gomito sono posteriori e il 30-40 % si accompagnano a fratture

Il meccanismo più comune che produce lussazione posteriore del radio e dell’ulna rispetto all’omero è la caduta all’indietro sul braccio con il gomito flesso.
Il dolore è molto intenso in occasione del trauma ed è impossibile il movimento. Nel sospetto fondato di lussazione del gomito con frattura è opportuno effettuare un esame radiologico.

Generalmente si interviene con la riduzione il più precocemente possibile e dopo la manovra di riduzione il gomito viene flesso a 90° e immobilizzato per circa 2 settimane.
In seguito è importante affrontare tutte le fasi della riabilitazione per il recupero funzionale completo, dal controllo del dolore e del gonfiore, al miglioramento dell’articolarità, della forza muscolare, e in seguito esercizi di coordinazione e la ripresa del gesto sport specifico.

Riabilitazione per lussazione del gomito

Dopo la spalla, il gomito è l’articolazione che si lussa più spesso soprattutto nei bambini con meno di 10 anni. Il meccanismo più comune che produce lussazione posteriore del radio e dell’ulna rispetto all’omero è la caduta all’indietro sul braccio con il gomito flesso e l’avambraccio supinato.

Il primo obiettivo della riabilitazione in seguito alla lussazione del gomito è il controllo del dolore e il recupero dell’articolarità attraverso graduali mobilizzazioni del gomito sia sul piano della flesso/estensione che della prono-supinazione, senza dimenticare il recupero articolare delle articolazioni a monte e a valle della stessa onde evitare un deficit residuo di movimento e massoterapia per la muscolatura dell’arto superiore.

Ottenuta l’articolarità completa, è possibile passare alla seconda fase del protocollo terapeutico incentrata sul graduale rinforzo della muscolatura dapprima con resistenza manuale per inserire poi rinforzo con elastici.

È importante recuperare la forza dei muscoli dell’avambraccio e della spalla, in particolar modo dei muscoli della cuffia dei rotatori e muscoli epitrocleari ed epicondiloidei.

DISTORSIONE DELLE DITA

Le lesioni legamentose delle articolazioni falangee o distorsioni delle dita sono normalmente di 1° o 2° e colpiscono più frequentemente il 4° e 5° dito perché più vulnerabili. Sono le classiche insaccate che producono dolore immediato, che diminuisce 2-3 minuti dopo il trauma, permettendo generalmente la ripresa dell’attività. La limitazione spesso è in funzione del grado di gonfiore articolare e la chiusura del pugno è impedita.
Troppe volte fratture misconosciute producono importanti rigidità articolari o precoci degenerazioni artrosiche. Per questa ragione è sempre consigliato un controllo radiologico.

Il medico ti consiglierà un bendaggio di protezione per 7-10 giorni. Talvolta per necessità agonistica ci si limita ad ancorare il dito infortunato con quello adiacente.
L’immobilizzazione con stecca per almeno 3 settimane è da riservarsi per i casi di lesione di 3° grado, con instabilità di discreta entità; anche durante il periodo di immobilizzazione è comunque indicato utilizzare terapia fisica antalgica.

Alla rimozione della stecca si iniziano, il più precocemente possibile, esercizi di mobilizzazione articolare e rinforzo dei muscoli intrinseci della
Le distorsioni delle dita sono normalmente di 1° o 2° grado e colpiscono più frequentemente il 4° e 5° dito. Sono le classiche insaccate che producono dolore immediato che però diminuisce alcuni minuti dopo il trauma, permettendo la ripresa dell’attività; la causa della limitazione articolare è il più delle volte data dal gonfiore, quasi sempre presente.

Solitamente viene fatto un bendaggio per alcuni giorni ma, se l’instabilità è di grado elevato, l’immobilizzazione avrà maggiore durata e successivamente è possibile iniziare la riabilitazione.

La prima fase del programma rieducativo è incentrata sul controllo del dolore e dell’infiammazione con terapie fisiche (Laserterapia Ad alta potenza e ultrasuoni ) sulla parte dolente e sul recupero del ROM fisiologico, anche a gradi estremi con mobilizzazioni passive e attive).

Raggiunta l’articolarità completa, è possibile progredire alla seconda fase con l’obiettivo di rinforzare globalmente l’apparato muscolare di polso e mano con zavorre, retine e oggetti tipo pinza, l’avambraccio e stabilizzatori di spalla con elastici.

FRATTURA DISTALE DELL'OMERO

Le fratture omero distali sono tipiche dell’infanzia ma si possono verificare anche nell’adulto.

Sono causate per lo più da trauma indiretto prodotto da una caduta sul braccio proteso in estensione o da trauma diretto.

Il dolore è intenso e diffuso a tutta l’articolazione. L’intensità del dolore impedisce qualunque movimento, se non una minima flesso-estensione.
Per avere conferma di una frattura omero distale il medico solitamente prescrive una radiografia; talvolta il sospetto di complicanze neurologiche o vascolari impone l’esecuzione di ulteriori esami quali l’elettromiografia o l’arteriografia.
Il trattamento conservativo in gesso è raro perché la rigidità post immobilizzazione del gomito ha un’incidenza molto alta e si preferisce quindi una precoce ripresa dell’articolarità dopo sintesi chirurgica.

Osteosintesi omero-distale

Quando la frattura omero-distale è scomposta o instabile, viene sempre trattata chirurgicamente per ridurre in modo più anatomico possibile i frammenti della frattura.
Per la riduzione e la sintesi della frattura possono essere utilizzati diversi impianti e spesso la scelta viene fatta in base al tipo di frattura e all’esperienza del chirurgo.

Questa chirurgia, in genere, viene eseguita in anestesia generale.

Durante l’intervento i frammenti della frattura vengono riposizionati secondo la loro anatomia e sintetizzati (fissati) con placche e viti al fine di consentire una rapida mobilizzazione del gomito.

Infatti, se l’intervento è correttamente eseguito e la frattura consente una sintesi stabile, il paziente può muovere il gomito già nell’immediato post-operatorio.
Nei pazienti anziani (con età maggiore di 60 anni) fortemente osteoporotici, con basse richieste funzionali, con frattura molto complessa può essere indicata la protesi totale di gomito.

Riabilitazione per frattura omero distale

La frattura distale dell’omero è tipica dell’infanzia e viene classificata come frattura sovracondiloidea; nell’adulto può essere o sovracondiloidea o intercondiloidea con coinvolgimento della superficie articolare del gomito. È causata per lo più da trauma indiretto prodotto da una caduta sul braccio proteso in estensione (infante) o da trauma diretto come l’urto sul finestrino dell’auto (adulto).

La prevenzione delle complicanze precoci (vascolari, neurologiche) e tardive (limitazione articolare, instabilità) sono alla base della scelta del trattamento da seguire che oramai è sostanzialmente di tipo chirurgico in quanto consente una rapida riduzione della frattura.

La riabilitazione può iniziare dopo la rimozione del tutore post-operatorio. La prima fase del protocollo ha come obiettivi il recupero della mobilità del polso attraverso mobilizzazioni passive dell’arto con attenzione ai blocchi articolari del polso e ai movimenti di prono-supinazione e il recupero dell’estensibilità attraverso lo stretching di tutta la catena muscolare di braccio e avambraccio. Per controllare il dolore possono essere utili in questa fase terapie fisiche, ghiaccio e soprattutto massoterapia decontratturante e drenante del cingolo scapolo-omerale e di tutto l’arto superiore.

Ottenuta l’articolarità completa, è possibile progredire alla seconda fase del programma riabilitativo con l’obiettivo di rinforzare tutta la catena muscolare tramite l’utilizzo di esercizi con elastici e zavorre per bicipite e tricipite, pro-supinatori, muscoli stabilizzatori della spalla e del cingolo scapolare. Parallelamente al recupero della forza verranno inseriti esercizi di coordinazione e manualità dell’arto superiore con palline, retine e esercizi di manualità fine con il terapista.

DISTORSIONE DEL POLSO

Nel caso della distorsione del polso il meccanismo traumatico più frequente è la caduta a terra sulla mano in estensione ed extrarotazione, che comporta uno stiramento delle strutture capsulari e della fibro cartilagine triangolare.

La sintomatologia consiste in dolore tipicamente diffuso a tutto il polso e con gonfiore di discreta entità. Sono talvolta presenti cisti sul dorso del polso.
Il riposo con bendaggio e ghiaccio ed eventualmente un tutore, per 10 giorni circa, normalmente risolvono il dolore. Successivamente è necessario iniziare terapia fisica locale e recupero dell’articolarità del polso e del tono-trofismo muscolare.

Per un recupero funzionale completo non vanno sottovalutati esercizi di propriocezione e coordinazione e il recupero del gesto sportivo negli atleti.

Il meccanismo traumatico più frequente di distorsione del polso è la caduta a terra sulla mano in estensione e extrarotazione, che comporta uno stiramento delle strutture capsulari senza lesione delle strutture legamentose, tendinee e ossee. Il dolore è tipicamente diffuso a tutto il polso con tumefazione sul dorso dello stesso; sintomo di debolezza muscolare è la diminuzione di capacità prensile. Dopo l’evento traumatico viene prescritto riposo con bendaggio o split per circa 10 giorni al termine dei quali è possibile iniziare la riabilitazione.

La prima fase del protocollo terapeutico ha come obiettivi la riduzione del dolore, attraverso terapie fisiche (Laserterapia Ad alta potenza, Sistema Super Induttivo,CrioUltrasuoni) sulla parte dolente e recupero dell’articolarità con mobilizzazioni attive e passive per il recupero del ROM fisiologico anche a gradi estremi e massaggio dei muscoli dell’avambraccio per controllare le eventuali contratture muscolari antalgiche.
Raggiunta la mobilità completa del polso, è possibile progredire alla seconda fase incentrata sul rinforzo completo dell’apparato muscolare di avambraccio e mano utilizzando esercizi con zavorre ed elastici per prono/supinatori, flesso/estensori del polso, bicipite e tricipite, stabilizzatori di spalla (intra/extrarotatori) e muscoli della core.

FRATTURA DEL CAPITELLO RADIALE

Tra le fratture del gomito, il capitello radiale risulta interessato nel 20% dei casi.

La frattura del capitello radiale è generalmente causata da traumi indiretti, per caduta sull’arto superiore a mano iperestesa e gomito esteso.

Il dolore acuto può indurre una limitazione dell’articolarità e della forza.
Oltre alle radiografie standard, in alcuni casi possono essere utili proiezioni oblique per la migliore visualizzazione del capitello. La RMN è l’esame più sensibile per fare diagnosi.
L’inizio del trattamento riabilitativo è fondamentale, con una mobilizzazione cauta ma precoce, per il rischio, molto frequente, di rigidità.

Le fratture scomposte vengono spesso trattate incruentemente con uno splint per due settimane, seguite da mobilizzazione solo in flesso-estensione. Successivamente, dopo controllo radiografico, viene effettuato il completamento della rieducazione. I risultati sono positivi nel 70% dei casi.

Frattura del capitello radiale – Interventi Chirurgici

Il trattamento della frattura del capitello radiale si diversifica per tipo di frattura.
Le fratture di tipo I sono le più semplici e vengono trattate con una breve immobilizzazione seguita da una cauta e precoce riabilitazione.
In caso di fratture di tipo II è indicato l’intervento chirurgico di riduzione e osteosintesi, nel quale i frammenti vengono ricomposti e uniti con piccole viti.
Nelle fratture del capitello radiale di tipo III viene sempre tentata la riduzione e l’osteosintesi con piccole viti o con l’ausilio di una placca metallica.
La sostituzione protesica invece è particolarmente indicata nel caso della frattura di tipo IV e cioè quando alla frattura si associa anche la lussazione.

Riabilitazione per frattura del capitello radiale

Tra le fratture di gomito, il capitello radiale risulta interessato nel 20% dei casi. La frattura del capitello radiale è generalmente causata da traumi indiretti per la caduta sull’arto superiore a mano iperestesa e gomito esteso, con avambraccio pronato.
La riabilitazione, i tempi di immobilizzazione o intervento e i tempi di recupero variano a seconda della sede e della tipologia di frattura (3 tipi), ma tutte hanno un protocollo terapeutico similare.

Nella prima fase del programma riabilitativo è fondamentale la mobilizzazione cauta ma precoce del gomito, onde evitare l’instaurarsi di rigidità articolari, all’inizio passiva in trazione poi progressivamente attiva attraverso stretching e automobilizzazioni.

In questa prima fase si possono utilizzare a scopo antalgico terapie fisiche (Laserterapia Ad alta potenza, Ultrasuoni, Sistema Super Induttivo, CrioUltrasuoni) Raggiunta un’ottima mobilità articolare, si può procedere alla seconda fase del protocollo terapeutico incentrata sul recupero della forza di tutta la catena muscolare con esercizi di rinforzo dei prono/supinatori del polso, flesso/estensori dell’avambraccio, bicipite e tricipite, stabilizzatori di spalla con zavorre ed elastici sia in concentrica che in eccentrica.

SINDROME DEL TUNNEL CARPALE

La sindrome del tunnel carpale si produce per un conflitto meccanico tra contenente e contenuto all’interno del canale del carpo.

Più precisamente il nervo mediano viene compresso contro il legamento traverso del carpo, generando deficit sensitivi e motori di entità variabile.

Esiste una forma primitiva (la più diffusa) dovuta a una sinovite ipertrofica dei tendini flessori e una forma secondaria dovuta a malattie sistemiche (amiloidosi, artrite reumatoide, diabete mellito) o a esiti di fratture a carico del polso che, consolidando, hanno prodotto un restringimento del tunnel.
La sindrome del tunnel carpale prevale nettamente nel sesso femminile, in età fertile ed è spesso bilaterale.

Il fattore ormonale gioca un ruolo cruciale anche se non pienamente chiarito, e questo spiega la maggiore ricorrenza dei sintomi durante la gravidanza e in menopausa.

Nelle forme primitive della sindrome del tunnel carpale i sintomi sono caratterizzati da formicolii tipicamente notturni con sensazione di addormentamento delle prime quattro dita. Nelle secondarie è presente spesso anche il dolore che invece peggiora con il movimento e quindi è prevalentemente diurno.

La diagnosi si basa su test clinici specifici e su un esame elettromiografico per valutare il grado di compromissione del nervo.

La prognosi è generalmente benigna con totale scomparsa dei disturbi della sensibilità nelle forme primarie. Il trattamento delle forme primarie della sindrome del tunnel carpale è inizialmente conservativo e si basa sull’applicazione di terapie fisiche (Ultrasuono e Laser Terapia), sul rinforzo dei gruppi muscolari deficitari e su esercitazioni per il recupero della coordinazione. Nelle forme più resistenti la soluzione è chirurgica.

A seconda della causa della compressione la patologia ha indicazione chirurgica o conservativa; in entrambi i casi il trattamento riabilitativo ha caratteristiche comuni, variano ovviamente i tempi di recupero.

La prima fase del protocollo riabilitativo ha come obiettivo la riduzione della flogosi, attraverso l’utilizzo di terapie fisiche (LaserterapiaAdaltapotenza, Ultrasuoni) e massoterapia drenante dell avambraccio e mano e il recupero dell’articolarità, in particolar modo del pollice, attraverso chinesiterapia in trazione del polso, stretching delle strutture capsulari e mobilizzazione attiva e passiva del polso e mano.

Raggiunti l’articolarità completa e un movimento senza dolore/parestesie, si può iniziare la seconda fase della riabilitazione, quella del recupero della forza e della coordinazione fine con esercizi di rinforzo per i muscoli dell’eminenza tenar, dei lombricali e flesso/estensori del carpo (soprattutto in eccentrica, anche manuale) con elastici, palline, retine. L’obiettivo è migliorare il controllo neuromotorio recuperando e allenando i movimenti di opposizione del pollice e il meccanismo della presa.

EPICONDILITE EPITROCLEITE GOMITO DEL TENNISTA / PADELLISTA

L’epicondilite è una tipica sindrome dolorosa che riconosce nella maggioranza dei casi una patogenesi da sovraccarico e colpisce frequentemente tennisti, golfisti, giocatori di baseball, schermidori.

Inizialmente si avverte dolore solo durante l’attività sportiva, o alla palpazione sull’epicondilo laterale; successivamente la sintomatologia dolorosa si presenta anche a riposo e nella vita di tutti i giorni in semplici gesti quali dare la mano, sollevare una bottiglia o girare una maniglia.

La diagnosi dell’epicondilite è essenzialmente clinica. Il medico durante la visita effettuerà test clinici specifici. Inoltre potrebbe richiedere un’Ecografia Muscolo Tendinea o una risonanza magnetica (RMN).

In caso di epicondilite il trattamento di prima scelta è sempre conservativo. In fase acuta ti verrà consigliato riposo funzionale, terapia fisica locale(Laserterapia Ad alta potenza, Ultrasuoni,Onde D’urto,CrioUltrasuoni )accompagnata da esercizi di stretching e Trattamento Miofasciale . La ripresa graduale dell’attività sportiva potrà avvenire solo dopo rinforzo dei muscoli flessori e della muscolatura della spalla.
Il trattamento chirurgico dell’epicondilite è da riservarsi solo ai casi invalidanti delle forme croniche persistenti.

Tutte le metodiche chirurgiche si prefiggono lo scopo di realizzare un allungamento delle strutture miotendinee. Le tecniche più tradizionali sono a cielo aperto; ad esse si affianca una tecnica artroscopica più recente.

Dopo l’intervento si applica un tutore con molle per 2-3 giorni e dopo circa 10 giorni è importante iniziare il trattamento riabilitativo per la completa ripresa dell’articolarità.
Successivamente si procede al rinforzo muscolare e alla ripresa dell’attività sportiva che avviene dopo circa 50 giorni.

Il trattamento riabilitativo e la prognosi dipendono dalla fase clinica in cui ci si trova: acuta, cronica-recidivante, cronica-persistente. Il riposo e la sospensione dell’attività evocante il dolore è la prima indicazione assoluta nel trattamento di questa patologia.

La prima fase del protocollo riabilitativo è incentrata sulla riduzione del dolore, attraverso terapie fisiche (Laserterapia Ad alta potenz,Sistema Super Induttivo,CrioUltrasuoni) e sulla risoluzione della tensione muscolare che determina la tendinopatia con trattamento Miofasciale dei muscoli dell’avambraccio, massaggio trasverso profondo dei tendini dei muscoli flessori ed estensori (soprattutto nella porzione distale, vicino all’epicondilo).

E’ importante informare bene il paziente che il dolore, essendo di origine funzionale, non sparisce del tutto ma permane anche durante le fasi successive della riabilitazione fino al completo riequilibrio dell’azione tendinea e muscolare.

La fase successiva del protocollo riabilitativo è caratterizzata dal rinforzo dei muscoli epicondiloidei ed epitrocleari come l’estensore radiale breve del carpo, l’anconeo, l’estensore del carpo e il comune delle dita prevalentemente in forma eccentrica sia manuale che con utilizzo di elastici e zavorre; molto importante in questa fase il riequilibrio dei muscoli flesso/estensori del polso e della muscolatura della spalla (soprattutto extrarotatori) per permettere di stabilizzare e controllare meglio il movimento dell’avambraccio.

Alla completa remissione dei sintomi e con l’utilizzo di un taping Kinesiologico specifico il programma riabilitativo termina con l’ultima fase del campo sportivo con esercizi propedeutici al lancio, presa con oggetti per il controllo neuromotorio ed esercitazioni tecniche specifiche dello sport praticato per una ripresa graduale della gestualità complessa in tutta sicurezza e un’educazione alle giuste abitudini da adottare per la prevenzione del re-infortunio.